Ganzirri, il Peloro e lo Stretto di Messina

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Glauco

venerdì 8 giugno 2007

Racconta un’antica leggenda che nell’era grande della preistoria venne a Capo Peloro, nella cuspide nord - orientale della Sicilia, un giovane della Beozia di nome Glauco, ritenuto figlio di Nettuno. Aiutato da alcuni amici tagliò sui monti intorno alcuni alberi di pino e con il legno ricavato costruì una barca snella e veloce che dipinse con i colori del mare. Come mestiere, si mise a fare il pescatore e divenne così bravo e cosi abile che le sue reti, alla fine di ogni pesca, risultavano sempre piene di una quantità enorme di Pesce. Glauco non tratteneva mai per se tutta quell’abbondanza di pescato, ma la ripartiva con gli amici e per sé teneva solo quanto bastava per mangiare e per vivere alla giornata.
Oltre ad essere generoso con, buon cuore, Glauco era anche un bel giovane. Aveva gli occhi azzurri, sopracciglia folte e arcuate, il naso dritto e regolare, la bocca rosea e morbida come quella di un fanciullo, mentre una barba corta e riccioluta gli incorniciava deliziosamente il mento i suoi capelli lunghi e sottili come fili di seta, gli scivolavano sulle spalle morbidi e carezzevoli, quando camminava oscillavano ad ogni movimento e sotto il sole cambiavano colore, passando dal biondo al ramato.

Tutte le nereidi, Teride, Anfittide, Panope e la stessa Galatea, bianca come il latte assieme alle sirene ammaliatrici e alle sorridenti ninfe delle acque, venivano dalle parti del Peloro per conoscerlo e parlargli. Spesso, alcune di esse, sì spingevano fin sulla spiaggia e più d’una, conquistata dal suo fascino gli sorrideva con invitante simpatia. Glauco era gioioso con tutte e scherzava come fa un buon, compagno di giochi, ma, in particolare, non guardava nessuna, contento di godersi la scanzonata libertà della sua verde giovinezza e quel senso giocondo di disporre pieamente e liberamente del suo tempo e dei suoi pensieri.

Un giorno, assieme alle sirene e alle ninfe dalle parti del Peloro venne la figlia di Forco, la dolce e romantica Scilla, una fanciulla bellissima e soave, piena di vita e desiosa d’amore. Nel suo piccolo cuore pulsavano sogni di giovinetta e tutta lei stessa, ancora, s’infiammava al pensiero del suo futuro amore.

Quando Scilla vide il biondo Glauco, sentì il cuore battere più forte e il sangue le salì alle gote e le imporporò il viso di desiderio. Da quel momento, ogni giorno, sul far dell’alba, lei cominciò a venire sulle rive del Peloro, ad aspettare con cuore innamorato e palpitante che Glauco venisse a preparare la sua barca per la pesca. Poi se ne restava ansiosa ad attenderlo fino al tramonto, fino a quando lo vedeva tornare con le ceste colme di pesci ed avviarsi poco distante, alla sua piccola dimora.
Scilla era timida e mai avrebbe osato dichiarar il suo amore, perciò si accontentava di guardarlo, di sorridergli e di sperare. Glauco la guardava e le sorrideva con simpatia, ma forse, qualche volta, dovette rivolgerle una carezza o accondiscendere a quell’amore ingenuo di fanciulla, puro e sincero come sempre puro e sincero è il primo amore.

Un giorno passò dalle parti del Peloro la maga Circe, la bianca fanciulla dalla pelle vellutata come un petalo di rosa, ma volubile come una frasca al vento, sempre languida e desiosa di ebbrezze d’amore. Scilla la ebbe per amica e assieme andarono a fare i bagni nel laghetto dei Margi. A sera, poi, andavano a passeggiare lungo le rive di Ganzirri, ad ammirare il verde fluttuare delle onde che dal mare Tirreno correvano verso il mare Ionio.

Scilla, un giorno confidò a Circe il suo amore per Glauco e in cambio ebbe consigli e una promessa d’aiuto.
"Fammi vedere questo tuo straordinario giovane" "” le disse la maga "”- "ed io t’insegnerò il modo di conquistarlo... "
Il giorno dopo Circe e Scilla si recarono sulla spiaggia, Glauco giunse poco dopo. Nella lucentezza dell’alba alle due donne egli apparve bello come un dio, agile come un atleta e smagliante in tutta la Sua giovinezza esaltata dai capelli biondi e dagli stupendi occhi azzurri profondi come il mare. Circe ne rimase ammaliata e se ne innamorò.
"” Bello Glauco, figlio di Nettuno "” pensò estasiata, nella sua mente "” E’ l’essere più bello che io abbia mai visto.. Ho deciso! Egli fa giusto ai caso mio... l’ uomo adatto al mio furente amore"¢. Lo farò mio amante!
"” tu "” disse poi a voce alta, rivolta a Scilla "”"” Cercati un altro uomo perché Glauco dai capelli biondi e dagli occhi di mare ora appartiene a me!...
Scilla tremò. Quelle parole furono per lei una sentenza di morte. Come poteva l’ingrata maga rubarle il suo amore! E non si accorgeva che Glauco per lei rappresentava la vita male aveva fatto a confidarle i suoi sentimenti. Sentì il cuore fermarsi e poco mancò che non morisse.
E continuò invano a supplicarla. La chiamò con, tutti gli aggettivi più belli. Si fece umile e piccola, strisciando
quasi ai suoi piedi. Dapprima
Circe ascoltò ridendo beffandosi dei suoi sentimenti di fanciulla, poi stanca e sdegnata, avvelenò la
fonte in cui Scilla soleva venire a bagnarsi
c quindi, impugnata un bacchetta
magica, la toccò su una spalla
e avvenne l’incredibile. Ingannata dalla maga, Scilla cominciò a trasformarsi in un mostro marino, con
sei teste latranti e dodici orribili
deformi gambe. La sua pelle, prima
liscia e delicata, cominciò a coprirsi
di squame ruvide e lucenti, e sua la
voce già melodiosa e dolce, ora divenne
rauca e abbaiante.
Appena Scilla s’accorse di essere divenuta un mostro, non resse alla disperazione e si gettò in mare, il suo cuore si trasformò in macigno e s’incrudelì al punto da costringerla a far strage dei naviganti che avevano la ventura di passare dalle parti della sua caverna. La stessa Circe più tardi, descrivendola ad Ulisse la definì un: "prodigio immortale, uno spavento, un orrore selvaggio con cui non si lotta contro di lei non c’è riparo, bisogna, fuggire".

Intanto la perfida Circe se la spassava con Glauco. Ma quando venne la primavera, volubile com’era, si stancò del suo amore e lo lasciò. Prima voleva tramutarlo in un animale come aveva fatto con i suoi passati amanti, ma non poté farlo perché Glauco era figlio di Nettuno. Perciò lo lasciò, senza neanche dirgli addio, e se ne tornò nella sua isola di Eta. Quando Glauco si accorse d’essere stato abbandonato, cadde in una tristezza profonda. Ma la sua amarezza divenne sofferenza quando seppe della brutta fine di Scilla, di quella piccola creatura dalla voce melodiosa che tutte le mattine, per tanto tempo, lo aveva atteso sulle rive del Peloro che la perfida Circe, per gelosia e con l’inganno aveva cambiato in un orrido mostro marino.

"” Oh grandi Dei! "” inveì in cuor suo "” perché mi dannaste a così crudele destino!—.
Ora, ogni giorno, Glauco prese l’abitudine di uscire con la barca fuori dalle acque dello Stretto e di avvicinarsi all’antro di Scilla. Quando giungeva nei pressi, la chiamava per nome e cominciava a rammentarle il tempo felice dei loro primi incontri. L’orrido mostro, più di una volta, fu sul punto di avventarsi con le sue bocche latranti ed inghiottirlo. Ma, pur se soggetta alla demenza canina, nel suo cuore, forse, restava ancora qualcosa del suo amore di donna. Così, dopo aver latrato minacciato, finiva per acquietarsi rientrava nelle buie caverne marine mentre Glauco, affranto e disperato, tornava alla spiaggia dello Stretto.

Intanto passarono gli anni, Glauco, sempre più malinconico, divenne Un vecchio curvo, pieno di ricordi e di rimorsi. Egli, non si allontanò più dalle rive dello Stretto e continuò a vivere solitario ed eremita, nutrendosi solo del prodotto della sua pesca sempre abbondante. I capelli e la barba gli si erano imbiancati, ma gli occhi erano rimasti vivi e lucenti, forse un pò tristi a causa del tenero e mai scomparso ricordo di Scilla quando, ancora giovinetta, dolce e bellissima. si era perdutamente innamorata di lui.

Ma Glauco ora si sentiva anche stanco. Ogni giorno tornando dal mare remava sempre più lentamente e a fatica una volta, mentre tornava da una pesca lontana, vide in mezzo al mare un’ isola bellissima, piena d’alberi e di fiori, persino sulla spiaggia Cresceva un’ erbetta verde argentata, soffice e molle come un tappeto di Persia.
Glauco, improvvisamente, si sentì stanco e triste. Accostò con la barca a quell’isola sconosciuta, tirò a secco le reti e sedette sulla soffice erbetta cominciando a selezionare i pesci pescati. E allora egli vide una cosa incredibile, meravigliosa. Quei pesci, appena toccavano quell’erba, tornavano a vivere e a piccoli balzi, si allontanavano verso il mare e vi si tuffavano. Glauco restò sbalordito. Mai in vita sua aveva visto o sentito parlare di cose simili. Ora era vecchio e stanco, e anche un tantino miope. Ma quello che vedeva era realtà e non sonno. Colse allora un ciuffo di quell’erba a mangiò. Oh, che sapore bellissimo aveva quell’alga! Nella sua mente tornò il ricordo dei cibi mangiati nella prima fanciullezza e gli parve d’avere in bocca zucchero e miele ed elisir e tutte le leccornie che aveva mangiato da bambino. E allora colse altri ciuffi di quell’erba e li mangiò e così di seguito, con ingordigia, fino a divenire sazio.
E allora in lui s’avverò il miracolo. D’un tratto il suo corpo ebbe un fremito. Piano piano i suoi piedi cominciarono a colorarsi di verde e poi le gambe, le braccia, il busto e la faccia, divennero verdi come il colore di quell’ alga che stava mangiando. La sua barba cominciò ad assumere un bel colore verde e su tutto il corpo gli spuntarono dei peli verdi e lunghi sottili e fini come fili di seta. Il cuore dì Glauco si riempì di gioia, mentre una forza incredibi1e, più grande della sua volontà, lo fece alzare da terra e correre verso il mare, dentro il quale s’immerse con un gran salto.

Oh, il grande dolce sapore del mare. L "˜estasi sublime in cui ogni sentimento s’annulla e la pace si confonde con la gioia! Lievi le onde lo accarezzarono sfiorandolo e Glauco, il biondo Glauco, divenne un Tritone del mare, immortale e profetico. Sul fondo egli vide una casa attorniata da un giardino bellissimo, pieno di alghe colorate e dì coralli, un caleidoscopio di colori stupendi, mentre attorno si udiva una musica dolcissima e allettante. Vi entrò e ne fece la sua reggia.

Da quel giorno Glauco volle restare per sempre nel mare dello Stretto. Si rivide con Scilla? Le parlò? Cessò, per questo Scilla di far strage dei naviganti? Dice la leggenda che anche ai tempi nostri, quando infuria la tempesta, Glauco solleva il capo al di sopra delle onde e, subito il mare si fa calmo e diventa invitante come lo era nella preistoria, quando Scilla era ancora una fanciulla bellissima e non un feroce mostro marino, con dodici gambe e sei latranti teste canine.

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