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Chiesa S. Maria della Grotta

martedì 2 ottobre 2007

CHIESA S. MARIA DELLA GROTTA
(o S. MARIA DELLE GRAZIE)

LA TRADIZIONE

Placido Samperi, raccogliendo un’antica tradizione, racconta che un vascello levantino solcava le acque dello stretto, recando a bordo una devota icona della Santa Vergine.
Giunto di rimpetto alla costa dove ora sorge il tempio, si arrestò e non potè più andare avanti, Venne in mente al padrone che la causa potesse essere il desiderio della Madonna di fermarsi in quel luogo e incaricò i marinai di portare a terra la sacra immagine e di lasciarla in un sito conveniente. Questi scorsero una grotta vicino al mare, e trovandola molto adatta, vi collocarono decentemente il quadro.
Gli abitanti del luogo, la maggior parte pescatori, scoperta la cosa, ne furono molto contenti e salutarono la sacra immagine col titolo di Madonna della Grotta. Una storia, come si vede, simile a tante altre che stanno all’origine di molte devozioni mariane della nostra terra.

Diversa è, invece, la spiegazione che di questo titolo dà Vito Amico.
Egli chiama in causa il quadro "Madonna della Grotta, cioè della Vergine che partorisce Cristo in Betlemme" facendo così chiaro riferimento alla grande pala del Marolì, custodita nella chiesa, e che raffigura appunto la natività di Gesù nella grotta di Betlemme.

LA PRIMA CHIESA

Agli inizi del ’500 un certo Fra Giovanni Paolo Poeta, dei Frati Predicatori, ammirato della grande devozione che l’icona riscuoteva, raccolse molte offerte e costruì, vicino alla grotta, un oratorio che fece crescere ancora di più la devozione popolare, ma non impedì che la Vergine continuasse a essere invocata con il titolo di "Madonna della grotta".

LA SECONDA CHIESA

Nel 1622 Emanuele Filiberto, che qualche volta si era fermato a pregare in quell’oratorio, diede incarico a Simone Gullì di progettare un piccolo, ma fastoso tempio per quella Madonna.
Era lo stesso architetto che alcuni anni prima aveva iniziato la costruzione del celebre "Teatro Marittimo", la cosiddetta "Palazzata", la quale per qualche chilometro, dal Palazzo Reale (oggi la Dogana) alla Piazza Vittoria, a guisa di anfiteatro, si specchiava nelle acque del porto di Messina.
Il Gullì, dunque, disegnò il tempietto di forma rotonda, sormontato da maestosa cupola, che non è difficile ammirare in stampe e cartoline anteriori al terremoto del 1908, e che comunque è riprodotto, quasi fedelmente nella ricostruzione eseguita dopo il terremoto.
La sopravvenuta morte di Emanuele Filiberto (1624) portò con sé la sospensione dei lavori, ma il nuovo viceré, Don Francesco De Mello di Braganza, ne ordinò la ripresa e il completamento, che avvenne nel 1639. I due munifici Viceré, prima del terremoto, erano ricordati da due lapidi apposte ai lati della porta maggiore. Il tempio resistette al terremoto del 1783 e fu arricchito di fastose decorazioni barocche con stucchi e tarsie. Esso, però, rovinò nel terremoto del 1908 e non se ne prese nulla. Per l’esercizio del culto si dovette provvedere con una delle chiese baracche donate dal Pontefice S. Pio X.

LA TERZA CHIESA

Alla sua ricostruzione provvide l’Arcivescovo Angelo Paino, includendola nel programma allegato alla CONVENZIONE del 1928.
La progettazione fu affidata all’Ing. Guido Viola, che era stato pure progettista del Piano Regolatore della riviera Messina-Faro.
Inizialmente si dovette affrontare la soluzione, chiamiamola così, politica, relativa alla ubicazione e alle dimensioni della nuova chiesa. Considerando che essa non doveva essere soltanto una cappella per accogliere il quadro della Madonna, ma doveva invece essere la parrocchiale di una popolazione divenuta molto numerosa, il progettista si era orientato verso un edificio di forma rettangolare che avrebbe dovuto sorgere nell’attigua villa Porcio, in quanto lo spazio occupato dalla chiesa distrutta non consentiva uno sviluppo sufficiente. Parere contrario espresse, però, la commissione nominata dal Ministero della Pubblica Istruzione, formata dagli Architetti Ernesto Basile,dell’Università di Palermo, Francesco Fichera, dell’Università di Catania e Francesco Valenti, Sovrintendente alle Gallerie e ai Monumenti.
Questa commissione insistette perchè il tempietto fosse ricostruito sui muri rimasti e con l’antica forma rotonda e che, di conseguenza, la curva dell’asse stradale avesse lo stesso centro dell’area circolare della chiesa. Si voleva così ripristinare il caratteristico sperone dominato dalla torre e dalla sua cupola. Reagì, tuttavia, il parroco del tempo, Vincenzo Gentile, facendo notare che una chiesa di quelle dimensioni (appena 95 metri quadrati) non poteva soddisfare le esigenze dell’accresciuta popolazione. Il progettista trovò allora una soluzione che lasciò tutti soddisfatti, affiancando, dal lato monte, una chiesa rettangolare a quella circolare, con l’onere, però, di acquistare il terreno adiacente, di proprietà di Annibale Muratti, e di rosicchiare un po’ di spazio alla roccia. Venivano così accolte le istanze del parroco, rispettate le osservazioni della commissione ministeriale e ristabilita la preesistente armonia del paesaggio.

Il corpo circolare riproduce l’antico tempietto del Gullì, sorge nello stesso sito e ha le stesse dimensioni: diametro interno m. 10,80, una fascia porticata esterna larga m. 4,60, e l’altezza di m, 29,50. Il corpo rettangolare aggiunto è largo m. 10,00 e lungo m. 34. Le due costruzioni si innestano e sono intercomunicanti. La tecnica costruttiva è naturalmente quella suggerita dalle norme antisismiche.
La zona circolare è ingabbiata in otto pilastri, innestati negli zatteroni e collegati da travi circolari all’altezza del portico e al piano di impostazione della cupola.
Questa ha la sua struttura portante in otto costoloni, che sono il prolungamento degli otto pilastri e sono collegati da cinque anelli, uno all’impostazione, il secondo a m. 2,20, il terzo a m, 4,25, il quarto a m. 6,00 e il quinto am. 7,20 con funzione di base del lanternino.
Tutte queste strutture sono in cemento armato cosi come la solettina che si stende tra le maglie di questi meridiani e paralleli. Il rivestimento della cupola, previsto in piombo, è stato rifatto in rame. Con uguale tecnica è ingabbiata la parte rettangolare, ossia la chiesa, con pilastri e travi in cemento armato e magliature in mattoni pieni.
Il lavoro è stato eseguito dall’impresa Eugenio Trovatello ed è stato completato nel febbraio 1931.
Gli elementi decorativi interni del tempietto si ispirano allo stile classico originario: due ordini di lesene scanalate in corrispondenza dei pilastri della struttura portante, con capitelli dorici e corinzi, il tutto realizzato con sobrietà, senza marmi e senza sfarzo di colori, in stucco, molto lontano perciò dalla ricca "decorazione di bulbi fioriti e capitelli con foglie arricciate e timpani spezzati e sopraelevati" della seconda chiesa, ricordata dall’Accascina.

Opere d’arte

Interessante, in fondo all’abside del corpo rettangolare, è un mosaico di recente fattura raffigurante la Vergine Immacolata, splendente in un cielo azzurro.
Ma l’opera maggiormente ammirata è un quadro di Domenico Marolì (1612-1676), collocato al centro del tempietto circolare.
Esso prese il posto, nel ’600, di quella icona che, secondo la tradizione, era stata lasciata dalla nave greca. Ha le dimensioni di m. 3,30 X 2,20. Raffigura la natività di Gesù e l’adorazione dei pastori. Nella piccola folla di pastori, intensamente protesi nell’adorazione del Bimbo che è in grembo alla Madre, l’opera ricorda l’analogo soggetto di Michelangelo da Caravaggio che si ammirava nella chiesa della Concezione dei Cappuccini e fu poi trasferito al Museo Regionale, del quale, tuttavia, non raggiunge la perfezione.
Il Marolì vi aggiunse, in alto, una danza festosa di angioletti, i quali fanno pensare a quei putti che, come si legge nelle Memorie dei Pittori Messinesi, egli si era esercitato a dipingere, alla scuola del Barbalonga, per la chiesa del monastero di S. Michele.


Vedi on line : fonte: Casali di Messina (Giuseppe Foti)

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