Ganzirri, il Peloro e lo Stretto di Messina
Il sito della riviera Nord di Messina, da Paradiso a Rodia

Ganzirri, Torre Faro, Capo Peloro: splendide località turistiche situate nella cuspide nord-orientale della Sicilia, dove sembra lentamente riemergere dalle acque la lunga catena appenninica. E’ un luogo di grande fascino, sempre immerso in una straordinaria luce. Confusa fra terra e acque, con i singolari laghetti di Ganzirri, la sua estremità individua la linea di demarcazione fra Tirreno e Ionio, vicinissima alla costa calabra e caratterizzata dall’alto metallico traliccio, entrato a far parte del paesaggio. Due litorali ne definiscono i margini, il primo sulle rive dello Stretto dove si allunga l’abitato di Messina, l’altro, a nord, presenta le spiagge più densamente popolate d’estate. Sui colli, vecchi casali conservano talvolta inimmaginati tesori d’arte.

Rubens vede Caravaggio
Articolo pubblicato online il 12 marzo 2009
Ultima modifica il 20 aprile 2009
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Straordinario successo della manifestazione:
"Rubens vede Caravaggio"
le adorazioni a confronto
a cura di Vittorio Sgarbi

I dipinti, attraverso cui rivivono e si incontrano Pietro Paolo Rubens (Siegen 1577- Anversa 1644) e Michelangelo Merisi da Caravaggio (Milano 1571- Porto D’ercole 1610) sono in esposizione nella sesta sala del Museo Regionale di Messina fino al 15 marzo 2009. Un occasione unica per vivere l’emozione della "Luce" rappresentata dai due artisti.

Adorazione dei pastori di Peter Paul Rubens


dipinto ad olio su tela di cm 300x192
Si deve alla lungimiranza e all’occhio infallibile di Roberto Longhi, che visitò la città di Fermo (Ascoli Piceno) nel 1927, se nella chiesa di San Filippo Neri venne riconosciuto, dopo tre secoli di scarso interesse, un capolavoro del periodo italiano di Rubens, la celeberrima "Notte" . I documenti successivamente ritrovati confermano la paternità dell’artista collocandone l’esecuzione tra marzo e giugno 1608. Rubens si trovava in quegli anni a Roma, su incarico del duca di Mantova, per visitare i monumenti dell’Urbe e studiare i dipinti dei giovani artisti che si affacciavano alla ribalta dell’arte. Era reduce da un insuccesso cocente per avere eseguito una pala d’altare non pienamente apprezzata dai Filippini di Roma: per consolare l’artista, il padre Superiore dell’Ordine, Flaminio Ricci, commissiona al pittore fiammingo un dipinto per la chiesa filippina di Fermo. Senza discutere con i committenti e senza conoscere il luogo cui era destinato, Rubens sceglie un’ambientazione notturna, certamente ispirato alle opere di Caravaggio del quale aveva acquistato l’anno prima per la corte di Mantova, la "Morte della Vergine". Il dipinto era stato rifiutato dai committenti , per avere rappresentato "con poco decoro la Madonna gonfia e con le gambe scoperte". Nasceva quindi da questi presupposti questa "Adorazione dei Pastori" , opera nella quale sembrano concentrarsi gli studi compiuti dal 1600 in poi in Italia dal giovane artista. Il quadro rappresenta il momento in cui i pastori raggiungono la capanna della natività: una Vergine elegante, mostra il suo bambino ai pastori, la luce proveniente dal "Bambino" le illumina il viso dal basso, alle sue spalle San Giuseppe incredulo a braccia conserte volge lo sguardo verso l’alto scoprendo un turbinio di quattro angeli che fluttuando sorreggono un cartiglio con l’annuncio della nascita del Salvatore. A sinistra della composizione due figure maschili e due figure femminili, con particolare del pastore in primo piano che rivela le influenze del colore veneto nel rosso mantello. Recentemente si è ipotizzato come la figura femminile anziana possa essere identificata come la levatrice incredula del protovangelo di Giacomo, nell’atto di alzare al cielo le mani sanate.
L’opera appartiene alla Pinacoteca Civica di Fermo( Ascoli Piceno)

Adorazione dei pastori di Michelangelo Merisi da Caravaggio


dipinto ad olio su tela di cm 314x211

E’ stata considerata una delle opere più complesse e rappresentative insieme alla "Resurrezione di Lazzaro", presente nello stessa sala del museo messinese. Il dipinto realizzato per l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Concezione dei Padri Cappuccini di Messina è entrato far parte della collezione del museo nel 1887.
La prima citazione della composizione risale al Samperi che la denominava, nella sua "Iconologia" (1654, ed.1742), "Madonna del parto".
Poco dopo, nel 1672, Bellori individuava erroneamente San Giuseppe nel pastore appoggiato al bastone, sulla destra della composizione, mentre esso risulta invece riconoscibile nel personaggio inginocchiato in primo piano, a destra, e che reca sul capo una sottile aureola, simile a quella che compare intorno alla testa della Vergine ed ispirata alle tipologie di aureola presenti già nelle precedenti rappresentazioni sacre compiute dal Caravaggio.
Sulla stessa linea dei dipinti romani, come il "San Matteo e l’Angelo", appare infatti la tendenza dell’autore, una tendenza verificabile anche nel dipinto messinese, a vestire di panni aulici e sacrali i rappresentanti di un ceto popolare, emarginato dalla società del tempo. Tuttavia nell’"Adorazione dei pastori" si avverte un lieve addolcimento di maniera soprattutto nella posa delle mani del primo pastore a sinistra che sembra voler dilatare lo spazio intorno alla Madonna, quasi a preservarne l’incontaminata purezza spirituale dal rozzo contesto ambientale che la circonda.
Ambiente del quale, peraltro, l’artista sottolinea con pochi cenni il rude ma dignitoso carattere, accentuandone, con l’uso di toni cromatici scuri, l’aspetto di povera realtà contadina che lo connota.
E del resto i barlumi luministici disseminati sui particolari anatomici che dettagliano i personaggi dipinti contribuiscono ad approfondirne la distanza proprio da quell’ambiente da cui essi paiono emergere come presenze spirituali, pur nella loro concreta verosimiglianza.
Una spiritualità profondamente sentita, questa espressa dal Caravaggio, e che si concreta nel gesto tenero ed affettuoso della Vergine che stringe a sé il neonato e lo sostiene soltanto con la mano sinistra, mentre la destra sembra toccarlo solo con una leggera carezza, sollecitando il corpo del piccolo ad un improbabile equilibrio, appena contenuto dall’appiglio del braccio destro del bambino, ch’è steso in un trattenuto e poco realistico abbraccio verso il viso della madre.
E se qualcuno ha voluto intravedere nell’iconografia della Vergine poggiata sul giaciglio più di un riferimento ai modelli bizantini visti dal Caravaggio durante il suo soggiorno in Sicilia, a parere del Friedlander essa richiamerebbe la rappresentazione trecentesca della "Madonna dell’umiltà" per il richiamo etimologico dell’ humilitas all’ humus, con riferimento al terreno sul quale essa poggia.
Roberto Longhi sottolineava la continuità d’intenti che accomuna quest’opera alle altre composte dall’autore durante il suo soggiorno in Sicilia, nel corso del quale l’interesse dell’autore si appuntava fondamentalmente sullo studio del rapporto esistente tra le figure e l’ambiente.
E mentre in composizioni come la "Sepoltura di Santa Lucia" Caravaggio preferisce ridurre le dimensioni dei personaggi inserendoli in un ambiente che li sovrasta, qui egli rende il distacco tra il gruppo degli astanti in primo piano e la stalla che accoglie la scena non attraverso un diverso dimensionamento delle figure, ma mediante l’accentuazione del contrasto chiaroscurale. Infatti l’emergere progressivo della luce che balena in bagliori ad intermittenza sempre più forti a partire dal personaggio in piedi sulla destra sino a giungere, attraverso l’accensione del rosso vivo del manto della Vergine, al corpo guizzante del bambino, comporta l’incisivo rilievo delle figure rispetto all’oscurità dell’ambiente retrostante.
Un rilievo che risulta accentuato anche dal taglio diagonale prescelto dall’artista, nonché dalla sua volontà di collegare,in una linea discendente di ampio respiro ma geometricamente definita, i personaggi in un solo blocco, che si oppone, per la sua solida volumetria, al contesto circostante. E proprio in quel contesto si assiste ad un incredibile baluginio di ombre, che vengono disseminate in tocchi più o meno radi, a seconda se con esse il pittore intenda definire i riflessi delle sottili lumeggiature che accompagnano il dorso degli animali raffigurati o quelli ben più plastici come il grande inquadramento d’ombra posto in primo piano su cui sta, come una sorta di apparizione, una natura morta composta da un pagnotta, da una pialla da falegname e da un tovagliolo.
Il senso di sospensione dolorosa che sembra provenire dall’opera rinvia alle inquietudini di un artista fuggiasco, che giunge in Sicilia dopo l’evasione, avvenuta nel 1608, dal carcere di Malta dov’era stato rinchiuso in seguito ad una grave contesa intercorsa con un cavaliere dell’Ordine.

L’opera appartiene al Museo Regionale di Messina
Viale della Libertà, 465
tel .090 361292/ 93 fax 090 361294
email:[email protected]
orari feriali: ore 9,00 - 13,00 15,00 - 18,00
domenica e festivi : ore 9,00- 12,30
mercoledi chiuso

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